15 dicembre 2010

Quando qualcosa non ti piace cambia discorso

Continuo a pensare a questa frase e a quello che è successo a Roma un 14 dicembre qualunque, martedì.
E allora cerco di cambiare discorso. Mi passano davanti scene del quotidiano in fotogrammi ad libitum.
Il non buongiorno del benzinaio, del casellante, dell'ortolano, dell'assicuratore, del funzionario pubblico, del parlamentare.
La rabbia e la frustrazione anche poco sopita che sta dietro alla risposta qualunque a una qualunque domanda per esempio "chi doveva occuparsi oggi di questo?" oppure "cerco via Taldetali, mi potrebbe indicare la strada?" o "dove lavori?" o " da quanto tempo aspetti?" o "quante possibilità ci sono che...?".
 L'ignoranza. Grande, grassa, addirittura bestiale, straripante, smargiassa, ostinata, volgare, presuntuosa, onnipresente.
La denigrazione personale, che ormai è diventata l'unico modo di argomentare della maggioranza (non solo di governo) e, immensa tristezza, anche uno dei modi più efficaci per attirare pubblicità e attenzione.
Il tempo che non verrà per tanti e tanti: quello del lavoro stabile, dell'alternativa, della prospettiva ( nb: l'Italia nella classifica che valuta la possibilità di investimento sul proprio futuro si colloca dopo la Zambia).
L'ignoranza. Dei finti evoluti, finti moderni, finti democratici, finti progressisti, finti intellettuali, finti morali.
Il peso oppressivo del vecchio borghese (passatemi il termine) ancora in auge, che mentre tutto crolla, scuola dei suoi figli (o nipoti) compresa, alimenta la sua cellulite mentale ingrassando a forza di favori, raccomandazioni, rimpasti, accordi, in nome del dio denaro, l'unico valore a cui sia mai stato fedele in vita sua e intanto pensa al prossimo suv che si comprerà grazie ai soldi della sua ricca pensione e al posto quanto mai sicuro e inviolato che ha già assicurato alla sua discendenza di ignoranti.
L'antichità, intesa nel senso più deteriore che si possa pensare, come incapacità di un paese, ma che dico paese, di alcuni esseri umani di pensare nei soli termini possibili per il solo possibile futuro: rendere alla scuola e in senso lato alla cultura il ruolo  di strumento principe per fare della propria e altrui vita qualcosa degno di senso, uomo in mezzo agli uomini.
L'ignoranza. Peggio di un cancro, di una malattia degenerativa, peggio di una metastasi, di un virus Killer che entra nel sistema e ne sconvolge le regole imponendo la propria anarchia distruttiva.
Da più canali arriva il solito teatrino: qualcuno parla dicendo cose generiche e chi gli sta davanti, se inquadrato naturalmente, dissente con la testa, applausi da un parte o dall'altra a seconda della battuta d'effetto e noi lì a guardare, più che muti, attoniti, in un qualunque martedì sera, con la faccia sprrfondata nelle occhiaie dalla stanchezza, con qualche pensiero giusto in più del dovuto in testa e molte cose da aggiustare dentro e fuori.

E in tutto ciò,  la cosa che mi rende più triste nel cambiare discorso non è che cambiare discorso in realtà non cambia argomento, perchè ormai questa cosa che non so definire (decadenza? come ci etichetteranno domani quelli che verranno dopo?) ci intride tutti e ancora non abbiamo capito dove ci abbiano nascosto l'uscita.
No. La cosa che stasera mi rende più triste è egoistica e personale da un lato, cosmica e universale dall'altro.
E' che sia pure per una frazione minima di secondo, oggi, sono stata contenta di non avere ancora avuto figli.

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