31 ottobre 2010

"La conoscenza non è garanzia di buona condotta, ma l'ignoranza garantisce una condotta cattiva"

Nel bel mezzo di un comitato di gestione della Fiat Marchionne, il nuovo guru italiano degli intellettuali-ricchi-non-sfigati-e-al-passo-coi-tempi ha citato un proverbio zulu che recita testualmente Umuntu ngumuntu ngabantu, che vuol dire “una persona è una persona tramite altre persone”.
Questa illuminazione gli viene da una rivista di bordo delle linee aeree sud-africane.

E' stato dimostrato che nella relazione primordiale genitore-figlio, l'uomo, a differenza per esempio dei gatti, è un animale culturale e non istintuale. Cioè, mentre nel mondo animale in genere le manifestazioni di cura e interesse per i piccoli che non sono stati partoriti dall'animale stesso sono modeste, anche se non del tutto assenti, questo non vale per gli esseri umani, che sono più flessibili. Questa è anche la loro arma vincente nell'evoluzione, cioè che ci sono poche cose che gli uomini sanno fare naturalmente e molte che invece apprendono. Alcuni studi hanno infatti hanno mostrato come il legame biologico, inteso per esempio come particolare condizione ormonale e affettiva della madre che allatta, abbia una funzione limitata e a brevissimo termine nel favorire l'attaccamento al bambino, mentre è necessario nel frattempo coltivare un rapporto di interazione basato sull'apprendimento quotidiano reciproco per poter porre le basi di un legame duraturo (e certi fatti di cronaca ce lo hanno ampiamente dimostrato).

Queste due osservazioni apparentemente slegate, per me hanno un minimo comun denominatore nell'articolo pubblicato su Internazionale ad opera di Martha Nussbaum, una filosofa americana, docente all'università di Chicago. Sconvolgente nei contenuti perchè ha osato dire qualcosa di assolutamente proibito, ma soprattutto di apparentemente anacronistico rispetto ai nostri tempi: il potere delle lettere e delle arti, oggi. 
Lettere, arti e potere. Oggi lettere e arte tutt'al più quando va bene sono sinonimo di bellezza, hobby, interesse intellettuale, curiosità, sfoggio, vanità, eleganza, stile e nel migliore dei casi citazione. Se invece ti va male diventano lingua morta, fuori tempo, fuori moda,  segno di condotta asociale, ai margini della civiltà. Figurati, come è possibile collegare arte e potere.
Martha fa subito un distinguo: tra la cultura e la cultura del profitto a breve termine. Dove la prima si basa sulla creatività e sul pensiero critico, mentre la seconda privilegia le conoscenze pratiche adatte allo scopo che ci si prefigge, ossia nozioni apprese in modo meccanico, spesso preconfezionate, trasmesse attraverso lezioni di tipo frontale, ossia senza possibilità di contraddittorio da parte di chi ascolta. Quindi concetti, come posso dire, precotti, fissi e fissati che si imprimono dentro menti ormai abituate a ingurgitarli senza chiedersi nemmeno che sapore hanno. Amaro, dolce, salato, chissà. Basta che funzionino, tutto va bene.
Quale è il grave pericolo ? L'ottusità, cioè l'incapacità di avere un pensiero autonomo e critico nei confronti di ciò che ci viene propinato.
Gli occhi chiusi, l'assenza di papille gustative. L'obbedienza.
E se questo vale dai banchi di scuola alle aule universitarie (quando ci si arriva), vale ancora di più quando si diventa cittadini del mondo, immersi in un sistema complesso, fatto di realtà sempre più diverse tra loro, che necessitano di entrare in contatto senza urtarsi e che sempre di più sono tra loro interdipendenti. Molto rischioso se lo applichi all'entrare in contatto con una minoranza etnica per esempio, oppure con i costumi di una diversa religione o semplicemente con le disuguaglianze.
E' stato dimostrato che per capire la complessità del mondo non bastano la logica e le nozioni, ma serve un terzo elemento.
L'arte e la letteratura ci offrono il terzo elemento: poter guardare il mondo con gli occhi di un altro, potersi calare dentro la visione del mondo di un'altra persona in modo critico e quindi, di pari passo, arrivare a conoscere meglio sé stessi. Cercare di interpretare un quadro o un testo letterario sviluppa proprio questa capacità empatica e critica, che poi è il terzo elemento nonché uno dei punti chiave alla base del concetto di democrazia.
E si inizia dal micro-cosmo familiare (esempio comprendere e accettare l'alterità di un figlio) fino al macro-cosmo globale.
Privilegiare (anche in termini economici) nell'istruzione l'aspetto tecnologico e scientifico a scapito di quello umanistico non aiuterà l'economia a crescere né tanto meno i paesi a formare cittadini/esseri umani migliori, ma solo persone prive di senso critico e incapaci di interazione con l'altro, il diverso. Persone che citano proverbi zulu di grande saggezza e poi chiamano gli operai della Fiat- 1200 euro al mese- “ i nostri collaboratori”.  Persone che, di questo passo, non solo rovineranno il futuro dell'economia o l'economia del futuro, ma anche i rapporti dell'uomo con l'uomo. La civiltà.

Grazie Martha per avere detto cose degne di essere scolpite nella pietra, per avermi fatto pensare che forse il problema non è il Cavaliere, ma il cavallo e soprattutto per aver distolto qualcuno per qualche momento dall'incessante eco del bunga-bunga.
Che qualcuno a questo punto faccia qualcosa. Amen.


25 ottobre 2010

E se domani

N. ha la mia età. Si è trasferita nella mia città per studiare, si è laureata in biologia ed è rimasta.
Quando due anni fa le proposero un contratto come tecnico di laboratorio nell'ospedale dove lavoro, preferì lasciare l'università, con cui collaborava da qualche anno, per cominciare a "esplorare il mondo reale".
Fino ad allora poco stipendio, niente orari (nel senso che spesso si tratteneva oltre il dovuto) e le uniche (rare) soddisfazioni consistevano in qualche articolo pubblicato dal suo gruppo, sempre sotto l'egida tirannica del prof. di turno "primo nome" che poteva anche far giacere un suo (di N.) brillante articolo sulla sua scrivania per 6 mesi, senza un motivo preciso che non fosse la sua presunzione. Risultato: un altro gruppo pubblicava per primo la ricerca e il lavoro di un anno andava sprecato così senza un motivo.
Forse per questo N. ha accettato senza rimpianti un incarico libero professionale in cambio delle sue sudate borse di studio. Come ogni ricercatore/persona dotata di serietà e passione per quello che fa, N. in questi due anni si è dedicata alla medicina di laboratorio entusiasmandosi per ogni nuovo sapere, per ogni nuova tecnica. Ma non si è limitata ad approfondire un settore di cui non aveva esperienza e che non c'entrava molto con il suo background. Lei è stata anche, fin da subito, un'interlocutrice attenta alle richieste dei reparti, una voce gentile al di là del filo quando magari il medico di turno chiamava per il risultato di un prelievo urgente, una persona corretta nei tempi e nei modi. Che dire di più? Ora il suo contratto è in scadenza, l'azienda non ha molti soldi, come consueto di questi tempi, e lei a inizio novembre ci saluterà.
Quando le ho chiesto quali fossero per lei le possibili alternative, mi ha detto che praticamente, per lo meno in Italia, pensare di essere assunta, anche come precaria, in una altro laboratorio è quanto meno impossibile se non hai la raccomandazione giusta (e ovviamente non intendo una raccomandazione di merito).
Tornare all'università (orribile a dirsi) le sembrerebbe come rientrare nella gabbia dopo aver assaporato il cielo.
Le resta qualche collaborazione con le case farmaceutiche, anche se, nel suo ramo specifico, anche lì il lavoro è tanto, lo stipendio poco e le soddisfazioni quasi zero. Ha mandato un curriculum anche all'ospedale del piccolo paese da cui proviene, sperando che non le risponda nessuno perchè ha paura di tornare.
Nel frattempo quasi sicuramente dovrà lasciare la specializzazione che aveva intrapreso, sia per motivi di tempo che economici.
N. ha 35 anni,momentaneamente è sola e deve ricominciare quasi da zero, perchè nessuno è in grado di offrire a una professionista laureata, seria e attenta una chance in questo paese. Inutile dire che all'estero, con tutti i difetti, sul piano della ricerca sono tutt'altre parole: merito, responsabilità, opportunità, premio. Ma questa è un'altra storia.
E si ritorna al fatto che sono i fondamenti che non vanno. Perchè se in un paese persone come N. si ritrovano a 35 anni a dover ripartire da capo, solo per aver peccato.. di che? di buona fede forse ? di zelo, di passione ? allora qualcosa di sostanziale non va. E non mi dite che quello che non va è il contratto a tempo, perchè è sempre questione dell'intelligenza di chi te lo fa il contratto: se vali, prosegui, perchè investo su di te e sulle tue idee, se no ciao. All'estero i ricercatori hanno quasi tutti un contratto a tempo determinato.
Diverso è quando il contratto a tempo diventa il coltello che al momento giusto, cioè quando all'azienda fa comodo, recide il rapporto di lavoro senza considerare le qualità di chi lavora (e quindi commettendo tra l'altro un incredibile auto-gol).
Ma nel frattempo, tutto questo succede e succederà ed è già successo. E allora non mi resta che tormentarmi con le parole che accompagnano la chiusa di un editoriale della scorsa settimana: quando tra 20 o 30 anni  i nostri  figli ci chiederanno "ma voi cosa avete fatto per impedire tutto questo", noi cosa risponderemo ?

23 ottobre 2010

Il ponte

Quando ho iniziato a scrivere qui dentro, ho deliberatamente evitato di parlare del mio lavoro.
Perchè questa doveva essere la pagina bianca che anni fa non mi concessi.
Chi mi conosce bene, ma anche meno bene, si catapulta dalla sedia ogni volta che scopre quale indirizzo di studi  alla fine ho scelto dopo il liceo. Medicina anzichè insegnare, scrivere. L'opposto rispetto a quello a cui sembravo destinata senza possibilità di errore.
Perchè l'ho fatto ancora non lo so. Forse per reconditi motivi inconsci, forse perchè era subentrata la paura di perdermi in luoghi noti, non per qualche anno, ma per sempre. E che questo mi allontanasse inevitabilmente dalla "vita reale", fatta di volti, di mani, di odori, suoni che non mi giungevano dov'ero, o così sembrava. 
Ricordo perfettamente che temevo me stessa. Temevo il mondo in cui, fino ad allora, mi ero rannicchiata, scavando sempre più in basso, più in profondità.  Mi vedevo lì, in un contesto di cui conoscevo ogni spigolo, a esasperare la timidezza, a chiudermi ancora di più in un universo fatto di carta, di ali, di oltre e altre cose impalpabili, immersa in regole sempre più labirintiche, ermetiche ai più. Iraggiungibile, prima di tutto dalla vita, così pensavo.
Così cambiai. Naturalmente, senza strappi.
Come è scritto nell'introduzione a uno dei testi chiave della medicina interna, volevo conoscere l'Uomo, angelo o bestia, in tutti i suoi aspetti, anche quelli malati, brutti, imperfetti, anche quelli non sublimabili dalle parole e mi sembrava, allora, che (io) non avrei mai potuto farlo se non allontanadomi dalla mia strada maestra.
Penso, ma forse è presto per dirlo, che cambiare mi abbia cambiato. Allontanato da un lato, ma avvicinato dall'altro, al mondo precedente.
Grazie a questa scelta per prima cosa ci siamo incontrati, io e Charles BB (lui preferisce K. e la foto non c'netra niente ovviamente..). E con lui siamo ritornati alle origini. Ora mi sento come un ponte tra due mondi. E nessuno dei due può rimanere fuori. Nemmeno da qui.

20 ottobre 2010

Il filo


Quinta ginnasio. Lei ci propone di leggere per casa un racconto di Borges. Questo.
Da allora, ogni volta che sono satura, ma proprio satura, mi viene in mente lui, Asterione.
Il nome significa signore delle stelle, ma il racconto inizia quasi come l'apologia di un condannato.
Lui vive in un palazzo pieno di “quiete e silenzio”. Dalle infinite porte, sempre aperte e senza mobili. Solo, anzi unico. Mai prigioniero di nessuno, se non di sé stesso.
Ecco, l'immagine del labirinto a volte funziona, perchè uno poi si trasforma davvero nel minotauro e si vede davvero così. E allora passi il tempo felicemente impegnata in attività costruttive come “correre tra gli intricati corridoi di pietra fino a cadere a terra stordita” o giocare a nascondino tra te e te. E pensi che la diversità genera solitudine. E ti senti colpa perchè ti senti diversa. E ti senti in colpa perchè non sei abbastanza diversa come vorresti essere. Sono momenti in cui credi che neanche l'arte della scrittura possa servire a comunicare nulla. E infatti nulla comunichi.
Poi, passa. Arriva Teseo e si riprende il filo.
Non sembra, ma sono molto ottimista, davvero.
(Sono rimasta indenne persino dopo il grande pranzo coi parenti, ho gli anticorpi con la giacca anti-proiettile..)

10 ottobre 2010

Un regalo

Proprio quando guardi il desktop del tuo PC e ti rendi contro che ci sono almeno 5 file word iniziati e mai finiti e ti sembra che rappresentino un po' la metafora di questo periodo

O quando pensi che al tuo trentacinquesimo compleanno manca ancora qualche mese e ti aggrappi a questa consapevolezza come uno che si arrampica su uno specchio unto d'olio

Quando ti rendi conto che stai per intraprendere contemporaneamente più di un percorso e non ti senti all'altezza né dell'uno né dell'altro

Quando pensi con terrore alla prossima settimana (che tra l'altro includerà una domenica bestiale con tutti i parenti di Charles BB da noi a pranzo)

Quando la giornata la passi a letto, in pigiama, vinta da un raffreddore storico, e sul comodino troneggiano nell'ordine kleenex (sono già al terzo pacchetto da stamani e il mio naso sta raggiungendo i toni del porpora), paracetamolo, neo-borocillina, vicks vaporub e caramelle mentolate

Lui ti chiede di leggere una cosa che ha scritto. E scopri che parla anche di te. Più o meno dice che lascerebbe l'ideale di Platone per correre dietro alla tua impefezione.
E improvvisamente tu ti senti
alle soglie dell'adolescenza
guarita
grata
che ce la puoi fare.
E ti rendi conto che domani può essere anche un tranquillo lunedì di paura, non te ne strafrega nulla a questo punto.


6 ottobre 2010

Se una settimana d'autunno un viaggiatore

Come un noto racconto di Calvino, questo post potrebbe avere molti inizi.
Per esempio potrei raccontare dell'uomo a cui morì il suo cane. Di come è andato e l'ha seppellito da solo, in montagna, accanto a un fiume che scorre tutt'ora e sotto un enorme cespuglio di..come si chiamano ? Ginestre.
Oppure potrei parlare di come ci si sente quando i buoni propositi vengono disattesi e ci si guarda intorno alla ricerca di un colpevole che però esiste solo davanti allo specchio.
Della figlia con le braccia conserte e gli occhi chiari, che non osava toccare suo padre neanche per aiutarlo ad abbottonarsi il golf.
O di come sia difficile in certe occasioni fingere di non sentirsi inadeguati e proprio quando credevi di esserci riuscita scoprire di essere di nuovo totalmente trasparente.
E della piccola ragazza senza rossetto che voleva essere grande subito, incinta come la sua amica.
E della grande che sperava ancora di essere guardata come la Venere di Tiziano, anche se di figli non ne poteva avere.
E’ stato un inizio settimana un po’ pesante, fuori e dentro, me ne rendo conto.

3 ottobre 2010

Monsignor del Telefonino

Se non lo spengi, suonerà
(Bella, l'italia)

E' ora di parlarne. Quando arriva il momento che non ne puoi più, è ora.
Un esempio a caso. Dal medico. Signore mezzo spogliato, sdraiato sul lettino. Si discorre della sua salute mentre gli faccio l'ecografia. Improvvisamente, una canzone da discoteca invade l'aria con un volume assordante. Eppure non sembra sordo e neppure particolarmente trendy il settantenne cardiopatico. Il telefonino diffonde il suo tunz tunz nell'ambulatorio.
–Lo lasci suonare ..- dice con aria supponente come a intendere, ecco l'ennesimo rompiballe; normale nella mia busy giornata. Ok, meglio così che farlo andare fino ai vestiti per spengerlo, già ha impiegato un quarto d'ora a svestirsi e fuori ci sono altri 10 pazienti (tutti con almeno un telefonino, senza considerare i parenti che li accompagnano). Nemmeno trenta secondi e risuona, le note disco si confondono con il suono ritmico del doppler. -Se vuole...- (andare a spengerlo, brutto rompiscatole). Sbuffa ma si alza, faticosissimamente raggiunge la tasca dei pantaloni, lo cerca, lo ricerca, eccolo finalmente. Lo spenge? No! Risponde! Lo fulmino, ma lui manco se ne accorge. -Senti, sono dal dottore- Ecco, finirà.. No! Mezzo nudo, piegato in avanti verso i vestiti come per inviarmi il messaggio sto per finire e rimetterlo nella tasca, il villoso ventre prominente cosparso di un azzurrino gel da ecografia, inizia ansimante a rispondere – No, arrivo un po' dopo perchè devo passare da Aldo.., Poi a prendere il pane, Anche il latte? Non me l'avevi detto-. Naturalmente tradotto dal dialetto locale. Mentre parla manifesta con il linguaggio non verbale segni di insofferenza, come se fosse lui la vittima di quella situazione. Finisce.
-Scusi eh, sa le mogli andrebbero ammazzate da giovani, e ammicca- Finalmente torna sul lettino, l'esame può ricominciare.
La faccio breve. La discoteca inizia di nuovo. Io mi arrabbio. Lui si scusa, si è scordato di spengerlo. Ora pero' finiamo l'esame. Continua a suonare per 3 volte impedendomi la concentrazione. Alla fine si riveste, l'oggettino avvolto da una custodia protettiva che pare un neonato imbacuccato ricomincia la lagna, risponde mentre faccio il referto. E' sempre la moglie. Mancava anche il sale. Meno male che gliel'aveva detto che era dal medico, ma capisco che questo non conti ormai più niente.
Per cui ecco altri esempi ed esemplari quotidiani. Tanto per dare un'idea della dimensione del problema. In fila alle poste. Il tipo figo con l'auricolare che parla a voce altissima mentre gli altri fanno la coda in silenzio. Prima fa una riunione di lavoro, poi scivola su cose private
– Sai quella lì dell'altra sera... ora non posso parlare..- e magari si gira anche verso il signore più vicino e gli fa un sorrisetto complice..
Magari ti capita anche quella che parla, in treno, dell'amica malata di colon irritabile,
-La Genoveffa, sì, non riesce più a lavorare più di un quarto d'ora di fila senza andare in bagno. Sì si è trasferita a xxx, ti do il numero, aspetta... è 347xxxxx.- Ma chi se ne frega della Genoveffa? Lo capisci che le persone non hanno i tappi nelle orecchie e se parli a voce alta in un ambiente chiuso monopolizzi l'attenzione? Naturalmente entrambi i suddetti non smetterebbero mai di parlare e non lo faranno nemmeno quando entreranno in un negozio
-Un pacchetto di Camel, grazie, sì mi scusi dicevo che la riunione non è andata poi così bene, anche un accendino se non le dispiace-
Altre varianti sul tema sono la persona (quasi sempre uomo) che litiga al cellulare camminando avanti e indietro a testa bassa (salvo sporadicamente estenderla d'un tratto verso il cielo come per invocare aiuto o dire in faccia la bestemmia), spesso gesticolando 'all'italiana'. Ma come è bello far sentire a tutti le proprie ragioni! Allora già che ci sei metti in viva voce e facci sentire anche quelle di chi è dall'altra parte! Non è finita. C'è chi parla di lavoro in linguaggio strettamente tecnico (voi non potete capire..). E che dire del sottogruppo che parla in inglese come a intendere, visto come so le lingue?? Uno internazionale così deve per forza occuparsi di cose importanti e indifferibili.
Uno dei molti aspetti che fa riflettere è l'avidità che le persone manifestano nel rispondere, in qualsiasi luogo o circostanza si trovino. Sei a un funerale? Sei a un matrimonio? Bene. Rispondi.
E tanti non ci fanno nemmeno caso. Preoccupante. Sei al supermercato e stai dando con una mano il bancomat al cassiere mentre con l'altra metti la spesa in 5 sacchetti e con il fianco spingi in avanti il carrello? Rispondi pure, è sicuramente Barack Obama che ti chiede di prendere la decisione finale su una delicata questione di politica internazionale. Oppure in auto, quante volte si vede il tizio con il telefonino in una mano e nell'altra la sigaretta.
- scusa, ci sono i vigili...- Ma non lo spengono, no, se lo mettono proprio lì... per poi riprendere – che ti dicevo?- E prova a suonargli il clacson quando ti tagliano la strada...!
Ormai camminare per strada è diventato un percorso a ostacoli. La gente non può aspettare per rispondere a un sms, d'altra parte il tempo è denaro (?) per cui in giro è pieno di soggetti che camminano digitando come stenografi. Poi quello inciampa sul marciapiede e si rompe il femore, quell'altro non vede il semaforo rosso.. peccato! Naturalmente se ti scontri con qualcuno non pretendere che ti chieda scusa, sei te che non l'hai visto.
Vogliamo parlare della tecnologia avversa? Quella della Zia Pina che non risponde mai al cellulare perchè non lo sente essendo sorda come una campana anche se le programmi la peggior suoneria paccottaglia a volume altissimo che verrebbe a chiunque un desiderio irrefrenabile di spegnerla anche solo per istinto di sopravvivenza. Poi ti chiama lei, ma solo perchè le è partita la chiamata, e ciò avviene almeno 5 volte al giorno. Ti manda gli sms. Quasi sempre per farti gli auguri di natale/compleanno/onomastico/pasqua/ferragosto. Solo che te ne manda almeno 10 di seguito di messaggi, tutti uguali (e non si capisce come e perchè), tutti senza virgole, punti apostrofi etc, quasi sempre scritti in maiuscolo e (anche questo resta un oscuro mistero) con i verbi spesso all'infinito.
Ma il telefonino è molto di più. Basti pensare a tutti coloro per i quali è un simbolo di non so cosa, e non deve costare meno di 400 euro se no sei tagliato fuori te e tutta la tua famiglia. La scelta della suoneria, poi, deve essere accuratissima. Una suoneria sfigata e sarai sfigato per sempre. Occorre essere aggiornatissimi: l''ultima canzone alla moda, la sigla del telefilm del momento. Mai usare le suonerie di default. E più che altro, mai utilizzare il vibrato. Dicono faccia venire dei funghi strani sulla pelle nel punto in cui vibra. La suoneria degli sms è ancora un'altra storia, poi sono differenti le suonerie in relazione alle varie persone che ci chiamano, questa è una chiamata di uno qualsiasi, questa no. Vorrei solo dire che in effetti il vibrato è forse meglio non usarlo se la conseguenza è quella di tirare fuori compulsivamente dalla tasca ogni 5 minuti l'oggettino trendy – non mi sarà mica scappato qualcosa?- .
Ma torniamo ai buzzurri. Quelli che usano il telefonino per sentire la musica. Niente di male. Ma io intendo in un luogo pubblico e senza auricolare. Balliamo tutti insieme?
Fortuna che c'è internet sui nuovi telefonini, così finalmente possiamo vedere in tempo reale (?) le ultime novità di gossip, di calcio e magari, perchè no, guardare le previsioni del tempo per il we.
Chissà se funzionano anche le chat, sarebbe fantastico!
E che dire del miìracolo del navigatore sul telefono? Non ci perderemo mai! Peccato solo che interviene sempre intimandomi di fare inversione a U mentre, in vivavoce, parlo con il datore di lavoro. Ma è un problema che risolveranno... siamo nel 2010!
Non dimentichiamo che i telefonini di ultima generazione fanno foto e video. Come ci fa sentire piacevolmente al centro dell'attenzione, sapendo ciò, quando qualcuno scrive un sms mentre ci punta l'obiettivo davanti. Scriverà o mi filmerà? Chissà se stasera sarò già su youtube o sul suo blog visto almeno 3845 volte? A proposito, bell'esperienza anche essere insieme a qualcuno quando questo interrompe il discorso con te per rispondere al telefonino e tu rimani lì 20 minuti a far finta di non ascoltare (imbarazzatissimo). Bello anche vedere quelle coppie romantiche al ristorante, ognuno con il cellulare sul tavolo davanti a sé, che il cameriere non sa dove mettere le portate. Oppure vederli entrambi presi con il proprio gadget a telefonare o a messaggiare - Scusa ,sai ,ma tra l'antipasto e il primo pensavo di aggiornare il blog- -non preoccuparti cara, devo preparare la mailing list per la cena di sabato-.
Mamma mia come odio quelli che portano il telefonino sempre in mano come dire mi potrebbe servire da un momento all'altro (e intanto lo fanno vedere). Poi, naturalmente, c'è la scusa delle foto delle ferie, dei bambini che crescono, dell'ultima fidanzata per cui ti viene propinata davanti l'odiata macchinetta. E che dire dei bambini alle elementari con il telefonino? Basta.
Io, lo post-metto, se a qualcuno fosse venuto qualche dubbio, non sono affatto sfavorevole ai telefonini, e ne sono schiavo un po' come tutti. E non ritengo che i telefonini siano una fissazione e un marchio negativo degli italiani. Del resto, andando in Francia o in Inghilterra (per nominare le mie ultime due esperienze all'estero) tutti hanno il cellulare, almeno quanto gli italiani. Ma il loro rapporto con la tecnologia è strano. Ad esempio, non riesco a capire perchè nei luoghi pubblici, dove normalmente i telefonini non suonano, se per caso accade di udire una suoneria (sempre discreta e a volume basso), la persona, imbarazzata, esce per rispondere. Oppure, se proprio non può uscire (es. in metro) parla a volume bassissimo, per una durata breve e -giuro- spesso con la mano davanti alla bocca. Ci hanno proprio ragione quelli della lega, chi li capisce 'sti stranieri? 

 Da uno sfogo di Charles BB. Altrimenti detto Kappa.


1 ottobre 2010

Dell'avere e dell'essere

Domenica scorsa, cielo punteggiato da nubi, sole a spiragli. Giornata non proprio adatta alla “scampagnata per borghetti trecenteschi e poi sfinirsi di bistecca in qualche trattoria sconosciuta  ai più”.
Però era anche un giorno di musei gratis, per cui tutti al museo. Non un museo, il Museo.
Uno di quei classici ambienti della cui esistenza sappiamo già prima dell’età della ragione, tanto fanno parte della cosiddetta conoscenza collettiva.
Quegli ambienti in cui ogni tanto ti viene voglia di tornare, come in un luogo in cui sei cresciuto.
Quando entri per l’ennesima volta nel museo, eviti volutamente i quadri più noti, peraltro non visibili dietro al mare di teste che si assiepano davanti.
 Senza volere ti soffermi su ritratti di sconosciuti. Sulle espressioni dei volti, sugli oggetti che indossano, sui colori degli sfondi che li circondano. Santi, angeli, dei, infine l’uomo.
Poi stai procedendo verso l’uscita un po’ confusa come al solito dall’equazione “ho visto” quindi “so”, quando per caso ti cade lo sguardo sull’ennesimo quadro.
E’ sempre così in fondo. La cosa che ti cambia, la cifra imprevista ti capita spesso mentre sei intenta a fare altro, non quando la cerchi.
Insomma, vedi un quadro, ma è un diverso vedere. Vedi una donna. E un bambino. La donna sta allattando, incredibilmente reale il gesto, non allusivo, per niente simbolico.
Questa donna non è immersa in un’aura di serenità astratta, non è circondata da nuvole, i suoi piedi non sono sospesi in aria, ma poggiano incerti sul suolo. Lei è visibilmente stanca e i suoi capelli sono così poco sistemati, così scomposti. Non c’è nessuna mitizzazione, come in una moderna maternità.
Ti guardi intorno. Sei nella sala dei caravaggeschi, un’esposizione temporanea. Il quadro ricorda un Caravaggio, ma a te sembra contenga qualcosa di più. L'elemento drammatico in un gesto quotidiano vecchio come il mondo. 
Guardi l’autore. E’ un’autrice, una pittrice. Del 1600. Lei non sapeva che avrebbe rappresentato un caso isolato nella pittura europea, non solo allora, ma anche nei secoli successivi.
Lei è nata a Roma. Orazio era suo padre. Ma era anche pittore. Anche maestro. Anche presenza costante. Lui le ha fatto conoscere Caravaggio. Lui le ha fatto conoscere anche l’uomo che con la forza ha preteso di racchiudere lei in un corpo violato. Un amico di famiglia.
Per le sue vicissitudini private, l’hanno definita la protagonista ideale del romanzo ideale. 
Oggi alcune lottano per svendersi al migliore offerente, ovviamente in nome dell'offerta.
Lei, in un tempo in cui svendersi era quasi un destino, è riuscita ad andare oltre il pregiudizio che voleva la donna lontana da ogni attività lavorativa maschile. Ad andare oltre, ma anche contro una violenza privata. A volare sopra il divieto di poter accedere all’apprendimento della pittura.

Quante cose non ha potuto avere e quante è stata.