1 ottobre 2010

Dell'avere e dell'essere

Domenica scorsa, cielo punteggiato da nubi, sole a spiragli. Giornata non proprio adatta alla “scampagnata per borghetti trecenteschi e poi sfinirsi di bistecca in qualche trattoria sconosciuta  ai più”.
Però era anche un giorno di musei gratis, per cui tutti al museo. Non un museo, il Museo.
Uno di quei classici ambienti della cui esistenza sappiamo già prima dell’età della ragione, tanto fanno parte della cosiddetta conoscenza collettiva.
Quegli ambienti in cui ogni tanto ti viene voglia di tornare, come in un luogo in cui sei cresciuto.
Quando entri per l’ennesima volta nel museo, eviti volutamente i quadri più noti, peraltro non visibili dietro al mare di teste che si assiepano davanti.
 Senza volere ti soffermi su ritratti di sconosciuti. Sulle espressioni dei volti, sugli oggetti che indossano, sui colori degli sfondi che li circondano. Santi, angeli, dei, infine l’uomo.
Poi stai procedendo verso l’uscita un po’ confusa come al solito dall’equazione “ho visto” quindi “so”, quando per caso ti cade lo sguardo sull’ennesimo quadro.
E’ sempre così in fondo. La cosa che ti cambia, la cifra imprevista ti capita spesso mentre sei intenta a fare altro, non quando la cerchi.
Insomma, vedi un quadro, ma è un diverso vedere. Vedi una donna. E un bambino. La donna sta allattando, incredibilmente reale il gesto, non allusivo, per niente simbolico.
Questa donna non è immersa in un’aura di serenità astratta, non è circondata da nuvole, i suoi piedi non sono sospesi in aria, ma poggiano incerti sul suolo. Lei è visibilmente stanca e i suoi capelli sono così poco sistemati, così scomposti. Non c’è nessuna mitizzazione, come in una moderna maternità.
Ti guardi intorno. Sei nella sala dei caravaggeschi, un’esposizione temporanea. Il quadro ricorda un Caravaggio, ma a te sembra contenga qualcosa di più. L'elemento drammatico in un gesto quotidiano vecchio come il mondo. 
Guardi l’autore. E’ un’autrice, una pittrice. Del 1600. Lei non sapeva che avrebbe rappresentato un caso isolato nella pittura europea, non solo allora, ma anche nei secoli successivi.
Lei è nata a Roma. Orazio era suo padre. Ma era anche pittore. Anche maestro. Anche presenza costante. Lui le ha fatto conoscere Caravaggio. Lui le ha fatto conoscere anche l’uomo che con la forza ha preteso di racchiudere lei in un corpo violato. Un amico di famiglia.
Per le sue vicissitudini private, l’hanno definita la protagonista ideale del romanzo ideale. 
Oggi alcune lottano per svendersi al migliore offerente, ovviamente in nome dell'offerta.
Lei, in un tempo in cui svendersi era quasi un destino, è riuscita ad andare oltre il pregiudizio che voleva la donna lontana da ogni attività lavorativa maschile. Ad andare oltre, ma anche contro una violenza privata. A volare sopra il divieto di poter accedere all’apprendimento della pittura.

Quante cose non ha potuto avere e quante è stata.

2 commenti:

  1. Stiamo parlando di Artemisia Gentileschi?

    Okay. Il quadro NON vado a guardarlo. So già fin troppo bene che effetto mi farebbe.

    Io trentacinque li faccio a gennaio. E anche qui bisogna partire su due strade simili ma molto diverse, per fare questi benedetti tre figli.

    Sento che ci scriveremo varie volte quest'anno.

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  2. Sì è lei. Sento anche io che ci scriveremo spesso qui o di là da te. Sono percorsi faticosi, ma spero siano ricchi entrambi e per entrambe. Nel frattempo dovremmo anche portare avanti le innumerevoli altre cose di tutti i giorni..Grazie davvero per la tua risposta.

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